(VI post) Il coach definisce il proprio modello
operativo!
Proviamo,
a questo punto, a definire le linee guida del modello operativo che
diventeranno stile e guida del gruppo di lavoro e del coach.
Primo
elemento dal quale non si può prescindere è: stabilire degli obiettivi!
Detta
così sembra una banalità ma vi assicuro…non lo è!
Molte sono le aziende che
vivono della risposta all’ impulso dei fatti quotidiani senza una programmazione
e senza un misurato target di miglioramenti progressivi!
Quindi….diamoci un
obiettivo o …se volete…una ragione di miglioramento programmata!
Questo semplice atto è l’inizio
di una nuova strada….
Definiamo
alcune questioni lessicali…Un obiettivo non è un sogno ad occhi aperti …ma la
programmazione di un risultato concreto che tende alla messa sotto controllo di
una situazione fuori controllo o la meditata e tenace volontà di organizzare
uomini e mezzi per migliorare il rendimento di un gruppo, di una peculiare attività
del gruppo o la creazione di una nuova procedura, mansione o attività.
Un
obiettivo deve:
- Essere misurato in partenza se trattasi di attività già in essere. Bisogna stabilire lo stato dell’arte, misurarlo e, creato il parametro dello stato dell’arte, definire il desiderato. Se si tratta, invece, di fatto nuovo si stabilisce il solo desiderato;
- La misura del desiderato deve essere credibile, ragionevole e raggiungibile.
- Deve essere definita la data limite per il raggiungimento dello stesso.
Questi
elementi racchiudono in essi la principale leva di valutazione di un coach.
La
capacità di segnare la strada, di individuarne le potenzialità e di sfidare le
insidie di un tempo prestabilito sono, infatti, elementi che distinguono in modo
inequivocabile un vero coach.
Tutto il resto è tecnica, metodo,
organizzazione….
Il secondo
elemento è: la definizione di una strategia operativa.
Tenendo presente l’obiettivo,
le capacità dei/del collaboratore coinvolto ed i mezzi disponibili è
fondamentale strutturare un piano di azione che deve avere le seguenti
caratteristiche:
- Una visione d’insieme dei processi e la giusta collocazione dell’obiettivo da raggiungere;
- Evitare di sovrapporre azioni e determinazioni ad altri enti di gestione. A tal fine è fondamentale gestire i rapporti e le interconnessioni operative definendo con esattezza i perimetri di azione dei singoli enti.
- Dalla sua grande o piccola complessità, il progetto operativo, deve vedere scarnificate le singole azioni in atti semplici in modo da limitare al minimo l’errore materiale.
- Determinati i punti di forza e le competenze complessive degli operatori, individuare aree di necessario miglioramento ed attuare azioni preventive di istruzione che azzerino eventuali deficit di conoscenza o competenza (corsi di aggiornamento, formazione interna o esterna).
- Identificare esigenze correlate all’adeguatezza dei mezzi a disposizione (strumenti, attrezzature, software) e provvedere alla rimozione di tale deficit organizzativo.
- Esporre con chiarezza ai propri collaboratori le attività legate alle mansioni da espletare partendo dalla spiegazione del disegno generale di azione fino a calarsi nella specifica attività individuale.
- Dimostrare esattamente ad ogni collaboratore l’azione da eseguire ripetendola insieme fino a che non si ha la certezza che possa essere compiuta con adeguata disinvoltura e competenza. Sollecitare un feedback che vi assicuri che il collaboratore abbia compreso a pieno quanto ha da fare.
- Determinare gli eventuali step di controllo intermedio delle attività.
- Definire il termine ultimo per il raggiungimento degli obiettivi.
- In ultima analisi avere l’umiltà e l’intelligenza di modificare il piano di azione ed adeguarlo a fatti, difficoltà o inconvenienti non opportunamente valutati in fase di programmazione. (Ammettere un errore o una valutazione non adeguata dei fatti è indice di capacità di osservazione critica e di analisi degli errori nonché di individuazione delle azioni correttive)
Ora
passiamo al terzo elemento: raccogliere i dati relativi l’andamento delle
attività e analizzarli.
Trasformare
un obiettivo in elementi misurabili e definirne la progressione realizzativa
rende sicuramente il compito di sorveglianza dell’andamento delle attività più
semplice. Quando questo è possibile tutto è sicuramente più chiaro. Ad esempio,
se l’obiettivo è migliorare i dati di vendita di una determinata zona del 10%,
i dati sono facilmente desumibili dai valori di fatturato di un mese
confrontati con quello successivo.
Ma non è sempre così semplice!
Ci sono due
rischi nel numerare tutto …
Il
primo è quello che i numeri si possono piegare ai desideri di chi li legge
sviluppando in qualche caso il raggiro dei numeri ….. ricordo a me stesso che
il numero è verità solo quando è certa la natura dello stesso altrimenti
diventa un’opinione in numero e quindi un assurdo in termini.
Il
secondo è quello di piegare al numero concetti di lavoro che col numero non
hanno niente a che fare. Come ad esempio tutte le attività di controllo. Nella
maggior parte dei casi non è utile rendere numerica l’attività quanto
analizzare il dato numerico dei risultati.
Queste
considerazioni creano un duplice concetto di numero:
- Quello che vede protagonista l’enumerazione degli atti compiuti;
- Quello che rende protagonisti l’analisi degli effetti degli atti.
Guai
ad affrontare i rilievi statistici dei dati nella logica sbagliata si potrebbe
stimolare una iper-produzione di atti operativi con effetto deleterio nei
risultati o, di contro, nel parossismo di tensione alla perfezione far crollare
i livelli di produzione.
Quindi
oltre il numero consideriamo la possibilità di far assurgere ad elementi di
controllo ad es. questionari dei clienti con annessa valutazione del
gradimento, interviste a colleghi e superiori gerarchici, questionari di
autovalutazione del collaboratore, osservazioni personali….. e quanto altro
possa mitigare la prepotenza del numero senza analisi critiche.
Il piano
di azione è la linea guida alla quale attenersi per il conseguimento dell’obiettivo,
ma l’esecuzione è una stretta e continua sinergia fra uomini.
Ed ancora il
coach è chiamato all’ esercizio del suo difficile ruolo di supervisore,
motivatore ed esperto nella rimozione degli impedimenti….
Semplice la cosa
quando si tratta di un software da modificare, di uno strumento da fornire ai
propri collaboratori o di un’attrezzatura da procurare…..
La complessità
maggiore è quella di individuare le persone giuste alla giusta applicazione…Motivare
e sostenere gli eventuali momenti di flessione o di difficoltà….
Istruire o far
istruire i propri collaboratori nelle mansioni da svolgere…
Avere la capacità
di ascoltare i segnali di difficoltà e fare corretta cernita fra le difficoltà
oggettive e quelle posticce…
In tutto
questo prevale ancora una volta un’ansia continua di miglioramento personale
del coach e del proprio gruppo con la consapevolezza che un risultato d’insieme
è certamente più copioso del risultato del singolo.
Il coach deve sempre tenere
di vista questa verità e conformarsi ad essa nei comportamenti e nelle
decisioni che è tenuto a prendere quotidianamente.
Alla
prossima!
( Post non didattici ma espressione di esperienza lavorativa ultra-trentennale di lavoro, scritti e divulgati da persona non professionista della divulgazione ne dell'insegnamento. Hanno titolo di opinione personale maturata sul "campo" )
Nessun commento:
Posta un commento