giovedì 10 marzo 2016

Coaching. Il manager allenatore! (X post) Il coach e…come affrontare il livelli di performance al di sotto della media!


Coaching.

Il manager allenatore!

(X post) Il coach e…come affrontare il livelli di performance al di sotto della media!

Mi sono preso la briga di metter su queste riflessioni sul coaching che mi hanno portato addosso, a volte, anche qualche giudizio non proprio lusinghiero, ma...va bene così!
Nel seguitare il discorso però devo arrivare alla nota dolente legata alle performance sotto la media.
Cominciamo col dire che affrontare questo tipo di problema mi ha trovato sempre in seria difficoltà!
Sono assolutamente convinto che non esistano persone stupide… come sono assolutamente convinto che esistano persone che non hanno voglia di fare e che spesso abbiano come solo intento quello di prendere il prossimo per il……esistono anche persone che si avviluppano in una serie di difficoltà personali e ambientali che non riescono a dominare  rispondendo al lavoro con performance inadeguate.
Queste e altre considerazioni affollano la mente di un coach quando si trova di fronte ad una insufficiente risposta lavorativa di un proprio collaboratore.
Così come tante sono le possibilità che generano uno scarso rendimento, tante sono le possibili reazioni risolutive.
Non esistono standard e non esistono risposte univoche esiste solo la capacità del coach di “entrare” nella propria squadra…capirne le dinamiche generali e quelle personali… inseguirne i talenti e svilupparli… individuarne le debolezze e rimuoverle …. Ma la cosa più importante è…….capire ogni componente della squadra cosa si attende dalla stessa, dal coach e quale aspirazione ha per se stesso…. Prendere tutto questo insieme e dirigerlo verso l’obiettivo di lavoro……infine liberarsi da quello che il coach vuole e indirizzare il volere di ogn’uno verso quello che il lavoro vuole….

Acc….!

Proviamo ad affermare che i fattori che deprimono il risultato del gruppo sono di due tipi:
1)   Generali;
2)   Individuali.

Quelli generali evidenziano una diffusa difficoltà di raggiungere gli obiettivi prefissati oppure una persistente difficoltà d’interazione di gruppo o, ancor peggio, uno scollamento del gruppo dal proprio coach!
Questa situazione nella sua immane difficoltà è a modo suo più semplice da risolvere, rimosso il problema tutto si rimette in cammino!
Prima domanda da porsi: Il Coach è all’altezza di gestire il Gruppo?
Difficilmente il coach stesso è capace di capirlo (oltretutto un coach incapace è l’ultima persona capace di valutare se stesso) per cui la risoluzione di questo tipo di problema spetta al suo capo.
 Definito che il coach ha le giuste potenzialità le domande diventano tante ….proviamo a definirne qualcuna…

Gli obiettivi prefissati sono troppo ambiziosi?
I mezzi a disposizione sono inidonei?
La preparazione professionale e la formazione sono inadeguate?
Il fattore motivazionale non curato o insufficiente?
L’ambiente di lavoro poco sicuro o poco confortevole?
La convivenza fra gli elementi della squadra difficile?

Queste sono solo alcune delle cause che possono determinare un flop di squadra.  
La risposta a tutte queste domande trova una reazione che esula il rapporto coach/collaboratore ma implica le attività che il coach deve mettere in campo per creare i giusti presupposti per un buon lavoro di squadra.
Le soluzioni sono nel giusto rapporto con la diretta linea di comando alla quale risponde il coach.
Questa fase caratterizza l’attività di coaching verso “l’ Alto”.
Carisma, capacità relazionali, insistenza, giusta definizione degli obiettivi e  valore degli stessi, devono essere difesi e sostenuti.
Nessun coach e nessuna squadra riesce a giocare la partita che gli si pone avanti senza il giusto apporto di fiducia e supporto di mezzi, senza che la definizione del lavoro da compiere non si integri con la visione generale della mission aziendale avendone l’avallo e l’attenzione opportuna.
Quando il coach riesce ad inserire il proprio gruppo di lavoro nel contesto generale e ne riceve le adeguate attenzioni trova positiva risposta a tutte le domande che ho snocciolato prima.
Mezzi, coerenza degli obiettivi, spinte motivazionali, formazione e giusta scelta dei componenti della squadra, attenzione nei luoghi di lavoro e nei contesti di massima sicurezza e confort…. altrimenti…. diventa una lotta strenua ….un coach che vive in contatto asincrono con la propria struttura o con il suo diretto superiore di linea di comando è destinato a vivere momenti difficili e vede gradualmente ridurre tutte questi necessari supporti.
A questo punto due sono le soluzioni
1)   Cedere ad abbandonare il progetto intrapreso;
2)   Insistere nel perseguire, con tutte le difficoltà esistenti, un obiettivo che si ritiene giusto e da difendere negli interessi aziendali e nella stima delle proprie opinioni.

In questo contesto si determina una nuova tipologia di analisi del coaching:

a)  Il coach ligio alle indicazioni aziendali che accetta come indiscutibili le azioni intraprese dalla propria linea di comando senza preoccuparsi di elaborare una propria vision e obbedisce senza discutere;

b)   Un coach che, come un regista di centro campo di una squadra di calcio, prova a leggere la partita ed a intravedere le giuste tattiche di gioco. Un coach che vede e prova a correggere le errate impostazioni e sceglie di mettere a disposizione delle aree decisionali una proposta alternativa anche rischiando di essere un bastian contrario poco gradito.

Questo duplice coaching sarà oggetto di una prossima ripresa.

A questo punto, definita l’analisi dei fattori generali e intraprese le azioni opportune per mettere il gruppo nella condizione idonea al giusto andamento lavorativo, è necessario mettere mano ai fattori individuali che pongono limiti alle performance e le rendono insufficienti.

Note dolenti!

Non esistono ricette che si possono applicare a tutti…. Il rapporto fra coach e gruppo di lavoro è… uno a uno! Questo sottintende che le soluzioni sono da intraprendere caso per caso.
Un primo elemento è la misura delle performance di gruppo che aiutino a definire il dovuto e lo scostamento (positivo o negativo) da questo valore.
Questo è fattibile in attività che possono essere facilmente enumerate ma se la base di confronto e un’attività intellettiva? (es. come si può prendere in considerazione un parametro  sul recupero crediti limitandosi all’importo totale del recuperato prescindendo dalla difficoltà del recupero?).
 Abbiamo già accennato a questo discorso e ho lasciato aperte alcune considerazioni... 
In un modo perfetto le valutazioni sui grandi numeri tendono a essere paritetiche ma in questo mondo?
 Quanti giochetti si sono messi in essere per “far fuori” persone non gradite!
 I numeri aiutano molto se sono sinceri e non “manovrati”. Diventano un elemento di sicuro confronto se chi li legge ne conosce molto bene la genesi e le possibili “perversioni” tanto da interpretarne correttamente i risultati senza farsene scudo o farsi indurre in errore.
Interpretati i numeri e considerate le performance si definisce quali sono sotto la media, in tal caso credo che esistano due tipi di persone:

Chi non può
·         Perché manca delle competenze necessarie;
·         Perché non sa come fare;
·         Perché qualcuno o qualcosa gli impedisce di farlo.

Chi non vuole
·         Perché non motivato;
·         Perché rifiuta il lavoro in sé.

Sarebbe bello, a questo punto, poter mettere giù uno schema interpretativo delle varie situazioni, dando una scaletta fra situazioni ciclicamente deficitarie (voto 5), costantemente deficitarie (voto 4), mediamente appena al di sotto della norma (voto 6= ) e suggerire comportamenti, sanzioni, attività da svolgere.
Non credo sia questa la maniera!
Un coach deve, a prescindere, affiancare o fare affiancare da tutor validi i propri collaboratori e deve aver verificato tutte le condizioni previste dal “Chi non può”.
Un coach deve aver lavorato su ogni proprio collaboratore motivandolo e presentando il lavoro che fa come una necessaria rotella di un ingranaggio complesso che non può avere cedimenti di nessun tipo!
Molto spesso il coach deve affrontare i propri limiti  che si rispecchiano nei risultati dei propri collaboratori o persone che volutamente vanno in contrasto con lui!
Un coach che si rispetta impara da tutti e restituisce a tutti sapere allo stesso modo, dedicandosi in particolar modo a chi ha qualche difficoltà in più, distingue con sagacia chi deve essere direzionato verso “ il fare “ , chi verso il “ far fare “ e in ultimo chi  “fa da colla“ e tiene insieme il tutto.
Il coach vero è un direttore d’orchestra che esalta la sua migliore sezione e utilizza al meglio quella più “scarsa” ma costruisce la giusta melodia.
Il lavoro, in fondo, è una pantomima della vita  i ruoli gli stessi, le stesse difficoltà… la differenza è che se per un lavoro c’è qualcuno che paga poco interessa tutto ciò … si deve valutare il singolo e pretendere i risultati attesi senza ma e senza se.
Io credo che il lavoro debba vivere di obiettivi di Team più che personali, che le dinamiche del Team coprono ed esaltano i suoi componenti, che come si dice delle mie parti “ in ogni famiglia c’è la pecora zoppa “ e deve essere il Team a decidere se questa deve restare o andar via non un numero, non la volontà del Coach ma un ostracismo collettivo dettato dalla evidente impossibilità di gestire il lavoro comune.
Sono spesso accusato di “buonismo” per queste mie posizioni ma mi domando. Con queste normative sul lavoro come si fa a “costringere” al lavoro chi non vuole? Fra malattie, mobbing ed altro come si può “imporre”?
Ho scelto due strade, la prima è fermezza nel difendere, sponsorizzare e premiare le eccellenze, la seconda , invece, lavorare di comprensione, motivazione e, in modo particolare, con l’esempio  nei confronti delle situazioni deficitarie….
Le inimicizie personali? Fondamentale è gestire il contenzioso e ridurre al minimo il contrasto con l’aiuto e la pressione del Team.
In tanti anni di Leadership ho visto collaboratori che hanno chiesto di andar via dal mio gruppo di lavoro, altri avere nei miei confronti cattiva stima ammorbiditasi nel tempo.
Una sola volta ho chiesto di allontanare dal mio gruppo un collaboratore e mi è stato detto che gestirlo era un mio dovere ed una sfida personale.
Altri hanno convissuto con me e camminato le evoluzioni del lavoro con buon spirito di squadra ed in alcuni casi con eccellenti risultati personali.
Ho imparato pian piano queste cose:
  • confidare nell’esempio positivo
  • premiare sempre e con visibilità il lavoro ben fatto
  • essere giusto o almeno sbagliare il meno possibile
  • saper chiedere scusa dei propri errori senza difenderli ad oltranza
  • al cospetto di un fallimento partire dalla consapevolezza di essere il primo dei colpevoli
  • aver pazienza e insistere con metodo
  • trasferire senso di attaccamento al lavoro ed al risultato comune trasferire sapere ed esperienza a piene mani senza temere di ritrovarsi, prima o poi, al cospetto di qualcuno migliore di me….e saperlo ammettere! 

 Non è molto?  … non so quali ricette miracolistiche vi potevate aspettare ma  ...

vi posso assicurare che 
queste piccole e semplici cose costano gran fatica!

Alla prossima!

(Post non didattici ma espressione di esperienza lavorativa ultra-trentennale di lavoro, scritti e divulgati da persona non professionista della divulgazione ne dell’insegnamento. Hanno titolo di opinione personale maturata sul “campo”)