Il
manager allenatore!
(X post) Il coach e…come
affrontare il livelli di performance al di sotto della media!
Mi sono preso la briga di metter su queste
riflessioni sul coaching che mi hanno portato addosso, a volte, anche qualche
giudizio non proprio lusinghiero, ma...va bene così!
Nel seguitare il discorso però devo arrivare
alla nota dolente legata alle performance sotto la media.
Cominciamo col dire che affrontare questo
tipo di problema mi ha trovato sempre in seria difficoltà!
Sono assolutamente convinto che non esistano
persone stupide… come sono assolutamente convinto che esistano persone che non
hanno voglia di fare e che spesso abbiano come solo intento quello di prendere
il prossimo per il……esistono anche persone che si avviluppano in una serie di
difficoltà personali e ambientali che non riescono a dominare rispondendo al lavoro con performance
inadeguate.
Queste e altre considerazioni affollano la
mente di un coach quando si trova di fronte ad una insufficiente risposta
lavorativa di un proprio collaboratore.
Così come tante sono le possibilità che
generano uno scarso rendimento, tante sono le possibili reazioni risolutive.
Non esistono standard e non esistono
risposte univoche esiste solo la capacità del coach di “entrare” nella propria
squadra…capirne le dinamiche generali e quelle personali… inseguirne i talenti
e svilupparli… individuarne le debolezze e rimuoverle …. Ma la cosa più
importante è…….capire ogni componente della squadra cosa si attende dalla
stessa, dal coach e quale aspirazione ha per se stesso…. Prendere tutto questo
insieme e dirigerlo verso l’obiettivo di lavoro……infine liberarsi da quello che
il coach vuole e indirizzare il
volere di ogn’uno verso quello che il lavoro
vuole….
Acc….!
Proviamo ad affermare che i fattori che
deprimono il risultato del gruppo sono di due tipi:
1)
Generali;
2)
Individuali.
Quelli generali evidenziano una diffusa
difficoltà di raggiungere gli obiettivi prefissati oppure una persistente
difficoltà d’interazione di gruppo o, ancor peggio, uno scollamento del gruppo
dal proprio coach!
Questa situazione nella sua immane
difficoltà è a modo suo più semplice da risolvere, rimosso il problema tutto si
rimette in cammino!
Prima domanda da porsi: Il Coach è
all’altezza di gestire il Gruppo?
Difficilmente il coach stesso è capace di
capirlo (oltretutto un coach incapace è l’ultima persona capace di valutare se
stesso) per cui la risoluzione di questo tipo di problema spetta al suo capo.
Definito che il coach ha le giuste
potenzialità le domande diventano tante ….proviamo a definirne qualcuna…
Gli obiettivi prefissati sono troppo
ambiziosi?
I mezzi a disposizione sono inidonei?
La preparazione professionale e la
formazione sono inadeguate?
Il fattore motivazionale non curato o
insufficiente?
L’ambiente di lavoro poco sicuro o poco
confortevole?
La convivenza fra gli elementi della squadra
difficile?
Queste sono solo alcune delle cause che
possono determinare un flop di squadra.
La risposta a tutte queste domande trova una
reazione che esula il rapporto coach/collaboratore ma implica le attività che
il coach deve mettere in campo per creare i giusti presupposti per un buon lavoro
di squadra.
Le soluzioni sono nel giusto rapporto con la
diretta linea di comando alla quale risponde il coach.
Questa fase caratterizza l’attività di
coaching verso “l’ Alto”.
Carisma, capacità relazionali, insistenza, giusta
definizione degli obiettivi e valore
degli stessi, devono essere difesi e sostenuti.
Nessun coach e nessuna squadra riesce a
giocare la partita che gli si pone avanti senza il giusto apporto di fiducia e
supporto di mezzi, senza che la definizione del lavoro da compiere non si
integri con la visione generale della mission
aziendale avendone l’avallo e l’attenzione opportuna.
Quando il coach riesce ad inserire il
proprio gruppo di lavoro nel contesto generale e ne riceve le adeguate
attenzioni trova positiva risposta a tutte le domande che ho snocciolato prima.
Mezzi, coerenza degli obiettivi, spinte
motivazionali, formazione e giusta scelta dei componenti della squadra, attenzione
nei luoghi di lavoro e nei contesti di massima sicurezza e confort…. altrimenti….
diventa una lotta strenua ….un coach che vive in contatto asincrono con la
propria struttura o con il suo diretto superiore di linea di comando è
destinato a vivere momenti difficili e vede gradualmente ridurre tutte questi
necessari supporti.
A questo punto due sono le soluzioni
1)
Cedere
ad abbandonare il progetto intrapreso;
2)
Insistere
nel perseguire, con tutte le difficoltà esistenti, un obiettivo che si ritiene
giusto e da difendere negli interessi aziendali e nella stima delle proprie
opinioni.
In questo contesto si determina una nuova
tipologia di analisi del coaching:
a) Il
coach ligio alle indicazioni aziendali che accetta come indiscutibili le azioni
intraprese dalla propria linea di comando senza preoccuparsi di elaborare una
propria vision e obbedisce senza
discutere;
b)
Un
coach che, come un regista di centro campo di una squadra di calcio, prova a
leggere la partita ed a intravedere le giuste tattiche di gioco. Un coach che
vede e prova a correggere le errate impostazioni e sceglie di mettere a
disposizione delle aree decisionali una proposta alternativa anche rischiando
di essere un bastian contrario poco gradito.
Questo duplice
coaching sarà oggetto di una prossima ripresa.
A questo punto,
definita l’analisi dei fattori generali e intraprese le azioni opportune per
mettere il gruppo nella condizione idonea al giusto andamento lavorativo, è
necessario mettere mano ai fattori individuali che pongono limiti alle
performance e le rendono insufficienti.
Note dolenti!
Non esistono ricette
che si possono applicare a tutti…. Il rapporto fra coach e gruppo di lavoro è…
uno a uno! Questo sottintende che le soluzioni sono da intraprendere caso per
caso.
Un primo elemento è
la misura delle performance di gruppo che aiutino a definire il dovuto e lo
scostamento (positivo o negativo) da questo valore.
Questo è fattibile
in attività che possono essere facilmente enumerate ma se la base di confronto
e un’attività intellettiva? (es. come si può prendere in considerazione un
parametro sul recupero crediti
limitandosi all’importo totale del recuperato prescindendo dalla difficoltà del
recupero?).
Abbiamo già accennato a questo discorso e ho
lasciato aperte alcune considerazioni...
In un modo perfetto
le valutazioni sui grandi numeri tendono a essere paritetiche ma in questo
mondo?
Quanti giochetti si sono messi in essere per “far
fuori” persone non gradite!
I numeri aiutano molto se sono sinceri e non “manovrati”.
Diventano un elemento di sicuro confronto se chi li legge ne conosce molto bene
la genesi e le possibili “perversioni” tanto da interpretarne correttamente i
risultati senza farsene scudo o farsi indurre in errore.
Interpretati i
numeri e considerate le performance si definisce quali sono sotto la media, in
tal caso credo che esistano due tipi di persone:
Chi non può
·
Perché
manca delle competenze necessarie;
·
Perché
non sa come fare;
·
Perché
qualcuno o qualcosa gli impedisce di farlo.
Chi non vuole
·
Perché
non motivato;
·
Perché
rifiuta il lavoro in sé.
Sarebbe bello, a questo
punto, poter mettere giù uno schema interpretativo delle varie situazioni,
dando una scaletta fra situazioni ciclicamente deficitarie (voto 5),
costantemente deficitarie (voto 4), mediamente appena al di sotto della norma (voto
6= ) e suggerire comportamenti, sanzioni, attività da svolgere.
Non credo sia questa
la maniera!
Un coach deve, a
prescindere, affiancare o fare affiancare da tutor validi i propri
collaboratori e deve aver verificato tutte le condizioni previste dal “Chi non
può”.
Un coach deve aver
lavorato su ogni proprio collaboratore motivandolo e presentando il lavoro che
fa come una necessaria rotella di un ingranaggio complesso che non può avere
cedimenti di nessun tipo!
Molto spesso il
coach deve affrontare i propri limiti
che si rispecchiano nei risultati dei propri collaboratori o persone che
volutamente vanno in contrasto con lui!
Un coach che si
rispetta impara da tutti e restituisce a tutti sapere allo stesso modo,
dedicandosi in particolar modo a chi ha qualche difficoltà in più, distingue
con sagacia chi deve essere direzionato verso “ il fare “ , chi verso il “ far
fare “ e in ultimo chi “fa da colla“ e
tiene insieme il tutto.
Il coach vero è un
direttore d’orchestra che esalta la sua migliore sezione e utilizza al meglio
quella più “scarsa” ma costruisce la giusta melodia.
Il lavoro, in fondo,
è una pantomima della vita i ruoli gli
stessi, le stesse difficoltà… la differenza è che se per un lavoro c’è qualcuno
che paga poco interessa tutto ciò … si deve valutare il singolo e pretendere i
risultati attesi senza ma e senza se.
Io credo che il
lavoro debba vivere di obiettivi di Team più che personali, che le dinamiche
del Team coprono ed esaltano i suoi componenti, che come si dice delle mie
parti “ in ogni famiglia c’è la pecora zoppa “ e deve essere il Team a decidere
se questa deve restare o andar via non un numero, non la volontà del Coach ma
un ostracismo collettivo dettato dalla evidente impossibilità di gestire il
lavoro comune.
Sono spesso accusato
di “buonismo” per queste mie posizioni ma mi domando. Con queste normative sul
lavoro come si fa a “costringere” al lavoro chi non vuole? Fra malattie,
mobbing ed altro come si può “imporre”?
Ho scelto due
strade, la prima è fermezza nel difendere, sponsorizzare e premiare le
eccellenze, la seconda , invece, lavorare di comprensione, motivazione e, in
modo particolare, con l’esempio nei
confronti delle situazioni deficitarie….
Le inimicizie
personali? Fondamentale è gestire il contenzioso e ridurre al minimo il
contrasto con l’aiuto e la pressione del Team.
In tanti anni di
Leadership ho visto collaboratori che hanno chiesto di andar via dal mio gruppo
di lavoro, altri avere nei miei confronti cattiva stima ammorbiditasi nel tempo.
Una sola volta ho
chiesto di allontanare dal mio gruppo un collaboratore e mi è stato detto che
gestirlo era un mio dovere ed una sfida personale.
Altri hanno
convissuto con me e camminato le evoluzioni del lavoro con buon spirito di
squadra ed in alcuni casi con eccellenti risultati personali.
Ho imparato pian
piano queste cose:
- confidare nell’esempio positivo
- premiare sempre e con visibilità il lavoro ben fatto
- essere giusto o almeno sbagliare il meno possibile
- saper chiedere scusa dei propri errori senza difenderli ad oltranza
- al cospetto di un fallimento partire dalla consapevolezza di essere il primo dei colpevoli
- aver pazienza e insistere con metodo
- trasferire senso di attaccamento al lavoro ed al risultato comune trasferire sapere ed esperienza a piene mani senza temere di ritrovarsi, prima o poi, al cospetto di qualcuno migliore di me….e saperlo ammettere!
Non è molto?
… non so quali ricette miracolistiche vi potevate aspettare ma ...
vi posso
assicurare che
queste piccole e semplici cose costano gran fatica!
Alla prossima!
(Post non didattici ma espressione di
esperienza lavorativa ultra-trentennale di lavoro, scritti e divulgati da
persona non professionista della divulgazione ne dell’insegnamento. Hanno
titolo di opinione personale maturata sul “campo”)