Il
manager allenatore!
(IX post) Il coach
e…l’analisi dei livelli di performance!
Incominciamo
col mettere in chiaro una cosa… per quanto mi riguarda li livelli di
performance di un collaboratore o di un gruppo di lavoro non sono determinati
solo da una utilissima sequenza di numeri,
parametri, indici ma anche da
considerazioni più intangibili come il risultato sul lungo periodo, la capacità
di affrontare crisi aziendali e sviluppare soluzioni, gestire costantemente lo
stress sia di gruppo che di ambiente, capacità di affrontare adeguatamente le
innovazioni e camaleonticamente adattarsi al variare delle esigenze e dei
processi lavorativi.
La
cultura imperante dei nuovi manager tende a numerizzare tutto anche lavori che
avrebbero bisogno di un’ analisi del risultato intangibile dell’opera
dell’intelletto.
Possibile
che risulti poco chiaro che esiste una sostanziale differenza nel considerare
il numero di azioni compiute in una attività manuale e i tempi e le azioni che
prevedono una analisi concettuale di un fatto?
Spostare
un oggetto da qui a lì in modo sempre uguale a se stesso e senza valore aggiunto
è un fatto certamente enumerabile, se l’oggetto che mi arriva non è sempre lo stesso e devo compiere
riflessioni o considerazioni di natura diversa primo di riporlo è altra cosa.
La contestazione più frequente è:
se
una operazione viene compiuta un numero considerevole di volte alla lunga è
possibile creare una sorta di statistica… certo se la realtà contingente e
l’oggetto fossero sempre uguali a se stessi!
A
dirla tutta questa insana abitudine nasce di recente quando un’altrettanta
insana abitudine legata alla necessità di cambiare continuamente assegnazione a
addetti e a manager aziendali è diventata stile. Passi pure che tale
atteggiamento sviluppa la capacità di accettare continuamente il nuovo e
accrescere la versatilità della persona ma dove va a finire la competenza?
Non
nasce forse il dubbio che la necessità di ridurre tutto in numero sia un mezzo
per la lettura comune di un fatto di cui si capisce poco o niente per mezzo di
un elemento universale più comprensibile?
Prima
di essere lapidato in pubblica piazza permettetemi di chiarire due cose
a) Credo fortemente nell’onesta del numero quando questo è inoppugnabile ed esprime sinceramente un risultato lavorativo molto meno quando lo si vuole forzare ad ogni costo in ogni realtà e contesto;
b) Credo fortemente che addetti e manager debbano ruotare in contesti simili o connessi tra di loro ma credo sia fortemente deleterio che passino attraverso mondi lavorativi completamente diversi a beneficio di una versatilità che tende ad abbassare il profilo del risultato.
a) Credo fortemente nell’onesta del numero quando questo è inoppugnabile ed esprime sinceramente un risultato lavorativo molto meno quando lo si vuole forzare ad ogni costo in ogni realtà e contesto;
b) Credo fortemente che addetti e manager debbano ruotare in contesti simili o connessi tra di loro ma credo sia fortemente deleterio che passino attraverso mondi lavorativi completamente diversi a beneficio di una versatilità che tende ad abbassare il profilo del risultato.
Per fare un esempio sportivo è come dire che un attaccante deve provare a fare il portiere per capire come agisce il portiere e il centrocampista per capire come si imposta il gioco. Una volta su 1000 si potrà scoprire che un attaccante appena sufficiente si dimostri un talento come portiere…… 10 volte su 10 l’allenatore è esonerato!
Allora?
Non me ne vogliate se ho preso a calci polemicamente convinzioni oneste e i, in alcuni casi, condivisibili ma il mio intento, provocatorio, è quello di spostare il centro dell’attenzione dai numeri alle persone …lì dove è necessario!
Un
business plan per analizzare una start up aziendale è uno strumento
indiscutibile, un grafico che spieghi i tempi e i modi di risposta di un
banconista ad un cliente in un negozio di vendita assistita non terrà conto
della soddisfazione del cliente, della fidelizzazione, della pubblicità del
passaparola……
Non tutto è numero…!
Non si può vivere
solo di…filosofia!
La risposta?
E’ nel giusto mezzo!
Crearsi
dei giusti parametri di raffronto lavorativo è sicuramente necessario e lì dove
ci troviamo al cospetto di lavori che non richiedono grosso valore aggiunto da
parte di chi lo effettua è sicuramente la chiave di volta della valutazione
della performace.
Lì
dove il valore aggiunto dell’addetto incide sulla qualità del risultato e la
stessa ripaga più della quantità il numero può al massimo essere una
componente, a volte non significativa, della valutazione della performance.
Credo
che questo post mi alienerà la simpatia di molti, ma credetemi la deriva di
certi comportamenti mi preoccupa.
Ho
visto troppa gente licenziata sulla base di rapporti numerici che hanno via
via, messo in ginocchio aziende storiche.
Ho
visto troppo spesso manager creare la propria fortuna su numeri accuratamente
addomesticati salvo poi scappare al primo rollio della barca che affonda.
Ho
visto troppo spesso aziende che hanno venduto numeri falsi salvo essere
scoperte e inventarsi soluzioni vergognosamente corruttive per salvarsi e
spesso ..no.
Credo
che coaching sia recuperare una umanizzazione del lavoro, e principalmente il
rispetto della verità sul lavoro…. Riappropriarsi di un’etica comportamentale
ormai abbandonata per una deriva utilitaristica individuale….
Non
me ne vogliate se questo post ha creato più disappunto che piacere di leggerlo,
che abbia insinuato più dubbi che aiutato a trovare soluzioni ma… è esattamente questo che volevo
ottenere.
Credo
che bisogna ricostruire i parametri di osservazione non solo del lavoro ma…di
tutta una vita…
Cambiare
dal tanto..troppo…al qualitativamente migliore!
Non
è necessario avere mille oggetti…ma avere quelli che servono e che siano
migliori.
Non
è importante vivere tanti fatti di vita ma viverne di qualitativamente più
intensi.
In
un mondo che spinge alla meccanizzazione o addirittura alla robotizzazione del
lavoro non possiamo ancora stare a rincorrere la quantità quanto scoprire di
nuovo la qualità di quello che facciamo.
Questa
qualità non può far altro che riverberarsi nei risultati tangibili ed
intangibili del lavoro.
Vivo
personalmente una realtà commerciale…dove il valore aggiunto sarebbe pari quasi
a zero se ci si dovesse limitare a comprare un oggetto da un produttore e
consegnarlo ad un rivenditore o consumatore finale!
La mission
cambia nel tempo e diventa sempre più complessa, te ne porto quanto vuoi, dove
vuoi, prestissimo, se succede qualcosa intervengo e risolvo, se sei curioso ti
viviseziono l’oggetto attraverso l’esplicazione delle caratteristiche, delle
curiosità legato all’oggetto della vendita, se un contrattempo ti ha urtato
faccio in modo che non ri-capiti, ecc.ecc. in una sola parola trasformazione di
un’azienda commerciale in una società di servizi!
E tutto
questo? Con l’ausilio di meccanizzazione di processi, ed organizzazioni
complesse che richiedono una sempre maggiore qualità di risposta degli addetti
e dei manager dove il pensiero, la fantasia e la competenza diventano elemento
da coltivare e stimolare perché solo attraverso queste caratteristiche si può
competere in questa guerra senza quartiere scatenata dalla crisi…investire in
cervelli non in appendici di macchine!
Concludo
questo post, sotto alcuni aspetti, poco professionale con una considerazione
che sembrerà ancora meno professionale ma che vuole chiarire il mio modo di
vedere la cosa.
Qualche
mese fa mi è passato fra le mani un testo di divulgazione scientifica de la “biblioteca
delle scienze“, testi collegati all’editore di Le Scienze (edizione italiana di
Scientific American), il titolo “Dieci
domande alle quali la scienza non può (ancora) rispondere” l’autore Michael Hanlon.
La quarta domanda della serie vede l’autore riflettere della estrema necessità
di migliorare i cicli di istruzione ed organizzazione del lavoro e dell’ardua
difficoltà delle persone di tenersi al passo con questa società in iper-sviluppo
tecnologico. Sono molte e variegate le considerazioni di carattere
antropologico come piuttosto amara la conclusione che nonostante gli sforzi che
possiamo compiere una, speriamo sempre più esigua, percentuale di persone vivrà
il dramma dell’inadeguatezza delle proprie risposte conoscitive al cospetto
delle difficoltà sociali e lavorative che dovranno affrontare.
La domanda
che vorrei porre…una classe dirigente che si rispetti, a questo punto, tende ad
insegnare a fare tanto o a fare bene….a correre o a pensare…..dove dovrebbe
mettere l’accento? Tutto vive in dipendenza del contesto ma una correzione di tendenza credo sia
necessaria!
Alla
prossima!
(
Post non didattici ma espressione di esperienza lavorativa ultra-trentennale di
lavoro, scritti e divulgati da persona non professionista della divulgazione ne
dell’insegnamento. Hanno titolo di opinione personale maturata sul “campo”)