giovedì 4 febbraio 2016

Coaching. Il manager allenatore! (IX post) Il coach e…l’analisi dei livelli di performance!


Coaching.
Il manager allenatore!

(IX post) Il coach e…l’analisi dei livelli di performance!

Incominciamo col mettere in chiaro una cosa… per quanto mi riguarda li livelli di performance di un collaboratore o di un gruppo di lavoro non sono determinati solo da una utilissima sequenza di numeri,  parametri,  indici ma anche da considerazioni più intangibili come il risultato sul lungo periodo, la capacità di affrontare crisi aziendali e sviluppare soluzioni, gestire costantemente lo stress sia di gruppo che di ambiente, capacità di affrontare adeguatamente le innovazioni e camaleonticamente adattarsi al variare delle esigenze e dei processi lavorativi.
La cultura imperante dei nuovi manager tende a numerizzare tutto anche lavori che avrebbero bisogno di un’ analisi del risultato intangibile dell’opera dell’intelletto.
Possibile che risulti poco chiaro che esiste una sostanziale differenza nel considerare il numero di azioni compiute in una attività manuale e i tempi e le azioni che prevedono una analisi concettuale di un fatto?
Spostare un oggetto da qui a lì in modo sempre uguale a se stesso e senza valore aggiunto è un fatto certamente enumerabile, se l’oggetto che mi arriva  non è sempre lo stesso e devo compiere riflessioni o considerazioni di natura diversa primo di riporlo è altra cosa.
La  contestazione più frequente è:
se una operazione viene compiuta un numero considerevole di volte alla lunga è possibile creare una sorta di statistica… certo se la realtà contingente e l’oggetto fossero sempre uguali a se stessi!
A dirla tutta questa insana abitudine nasce di recente quando un’altrettanta insana abitudine legata alla necessità di cambiare continuamente assegnazione a addetti e a manager aziendali è diventata stile. Passi pure che tale atteggiamento sviluppa la capacità di accettare continuamente il nuovo e accrescere la versatilità della persona ma dove va a finire la competenza?
Non nasce forse il dubbio che la necessità di ridurre tutto in numero sia un mezzo per la lettura comune di un fatto di cui si capisce poco o niente per mezzo di un elemento universale più comprensibile?
Prima di essere lapidato in pubblica piazza permettetemi di chiarire due cose

a)    Credo fortemente nell’onesta del numero quando questo è inoppugnabile ed esprime sinceramente un risultato lavorativo molto meno quando lo si vuole forzare ad ogni costo in ogni realtà e contesto;
b)   Credo fortemente che addetti e manager debbano ruotare in contesti simili o connessi tra di loro  ma credo sia fortemente deleterio che passino attraverso mondi lavorativi completamente diversi a beneficio di una versatilità che tende ad abbassare il profilo del risultato.

Per fare un esempio sportivo è come dire che un attaccante deve provare a fare il portiere per capire come agisce il portiere e il centrocampista per capire come si imposta il gioco. Una volta su 1000 si potrà scoprire che un attaccante appena sufficiente si dimostri un talento come portiere…… 10 volte su 10 l’allenatore è esonerato!

Allora?

Non me ne vogliate se ho preso a calci polemicamente convinzioni oneste e i, in alcuni casi, condivisibili ma  il mio intento, provocatorio, è quello di spostare il centro dell’attenzione dai numeri alle persone …lì dove è necessario!
Un business plan per analizzare una start up aziendale è uno strumento indiscutibile, un grafico che spieghi i tempi e i modi di risposta di un banconista ad un cliente in un negozio di vendita assistita non terrà conto della soddisfazione del cliente, della fidelizzazione, della pubblicità del passaparola……

Non tutto è numero…!
Non si può vivere solo di…filosofia!
La risposta?
 E’ nel giusto mezzo!

Crearsi dei giusti parametri di raffronto lavorativo è sicuramente necessario e lì dove ci troviamo al cospetto di lavori che non richiedono grosso valore aggiunto da parte di chi lo effettua è sicuramente la chiave di volta della valutazione della performace.
Lì dove il valore aggiunto dell’addetto incide sulla qualità del risultato e la stessa ripaga più della quantità il numero può al massimo essere una componente, a volte non significativa, della valutazione della performance.
Credo che questo post mi alienerà la simpatia di molti, ma credetemi la deriva di certi comportamenti mi preoccupa.
Ho visto troppa gente licenziata sulla base di rapporti numerici che hanno via via, messo in ginocchio aziende storiche.
Ho visto troppo spesso manager creare la propria fortuna su numeri accuratamente addomesticati salvo poi scappare al primo rollio della barca che affonda.
Ho visto troppo spesso aziende che hanno venduto numeri falsi salvo essere scoperte e inventarsi soluzioni vergognosamente corruttive per salvarsi e spesso ..no.
Credo che coaching sia recuperare una umanizzazione del lavoro, e principalmente il rispetto della verità sul lavoro…. Riappropriarsi di un’etica comportamentale ormai abbandonata per una deriva utilitaristica individuale….
Non me ne vogliate se questo post ha creato più disappunto che piacere di leggerlo, che abbia insinuato più dubbi che aiutato a trovare soluzioni ma… è esattamente questo che volevo ottenere.
Credo che bisogna ricostruire i parametri di osservazione non solo del lavoro ma…di tutta  una vita…
Cambiare dal tanto..troppo…al qualitativamente migliore!
Non è necessario avere mille oggetti…ma avere quelli che servono e che siano migliori.
Non è importante vivere tanti fatti di vita ma viverne di qualitativamente più intensi.
In un mondo che spinge alla meccanizzazione o addirittura alla robotizzazione del lavoro non possiamo ancora stare a rincorrere la quantità quanto scoprire di nuovo la qualità di quello che facciamo.
Questa qualità non può far altro che riverberarsi nei risultati tangibili ed intangibili del lavoro.
Vivo personalmente una realtà commerciale…dove il valore aggiunto sarebbe pari quasi a zero se ci si dovesse limitare a comprare un oggetto da un produttore e consegnarlo ad un rivenditore o consumatore finale! 
La mission cambia nel tempo e diventa sempre più complessa, te ne porto quanto vuoi, dove vuoi, prestissimo, se succede qualcosa intervengo e risolvo, se sei curioso ti viviseziono l’oggetto attraverso l’esplicazione delle caratteristiche, delle curiosità legato all’oggetto della vendita, se un contrattempo ti ha urtato faccio in modo che non ri-capiti, ecc.ecc. in una sola parola trasformazione di un’azienda commerciale in una società di servizi!
E tutto questo? Con l’ausilio di meccanizzazione di processi, ed organizzazioni complesse che richiedono una sempre maggiore qualità di risposta degli addetti e dei manager dove il pensiero, la fantasia e la competenza diventano elemento da coltivare e stimolare perché solo attraverso queste caratteristiche si può competere in questa guerra senza quartiere scatenata dalla crisi…investire in cervelli non in appendici di macchine!
Concludo questo post, sotto alcuni aspetti, poco professionale con una considerazione che sembrerà ancora meno professionale ma che vuole chiarire il mio modo di vedere la cosa.
Qualche mese fa mi è passato fra le mani un testo di divulgazione scientifica de la “biblioteca delle scienze“, testi collegati all’editore di Le Scienze (edizione italiana di  Scientific American), il titolo “Dieci domande alle quali la scienza non può (ancora) rispondere” l’autore Michael Hanlon. La quarta domanda della serie vede l’autore riflettere della estrema necessità di migliorare i cicli di istruzione ed organizzazione del lavoro e dell’ardua difficoltà delle persone di tenersi al passo con questa società in iper-sviluppo tecnologico. Sono molte e variegate le considerazioni di carattere antropologico come piuttosto amara la conclusione che nonostante gli sforzi che possiamo compiere una, speriamo sempre più esigua, percentuale di persone vivrà il dramma dell’inadeguatezza delle proprie risposte conoscitive al cospetto delle difficoltà sociali e lavorative che dovranno affrontare.
La domanda che vorrei porre…una classe dirigente che si rispetti, a questo punto, tende ad insegnare a fare tanto o a fare bene….a correre o a pensare…..dove dovrebbe mettere l’accento? Tutto vive in dipendenza del contesto ma una correzione di tendenza credo sia necessaria!

Alla prossima!


( Post non didattici ma espressione di esperienza lavorativa ultra-trentennale di lavoro, scritti e divulgati da persona non professionista della divulgazione ne dell’insegnamento. Hanno titolo di opinione personale maturata sul “campo”)